Antipasto di oggi: da AI Mode a La Cosa, così cambiano le nostre abitudini digitali
Google mette l'AI nel search: googlare non sarà più come prima. Altman si unisce al padre dell'iPhone e annuncia l'arrivo di 100 milioni di dispositivi rivoluzionari che nessuno sa cosa siano
Hello human,
La trasformazione più evidente che l’AI sta provocando è quella delle nostre abitudini digitali, che come avevo anticipato sarà uno dei grandi temi dei prossimi mesi. Da questo punto di vista, come vi racconto oggi, gli ultimi due giorni sono stati rivelatori. Io sono Matteo Montan, questa è [humans/AI] e se volete saperne di più su di me e sul progetto editoriale, trovate tutto nelle Info. E ora, andiamo!
Che giornate
Tra martedì e mercoledì, nel suo evento annuale (I/O) Google ha generato una pioggia monsonica di annunci di nuovi prodotti. Tra la marea di app e servizi, si è chiarito soprattutto una cosa: la ricerca web che da 25 anni è il perno attorno a cui ruotano le nostre vite digitali non sarà mai più come prima. Poi ci arriviamo.
Non si erano ancora spente le luci di Google I/O, ed ecco che Sam Altman con un guizzo riesce diabolicamente a prendersi la scena, ufficializzando l’ingresso di OpenAI nel mondo dell’hardware (ne avevamo accennato a inizi aprile). In un video piuttosto incredibile, Sam ha annunciato il sodalizio con Jony Ive, per anni spalla creativa di Steve Jobs e guru dei prodotti Apple più desiderati. Per 6,5 miliardi OpenAI ha comprato la società di fondata 2 anni fa da Ive e lo stesso Altman: si chiama io (avete letto bene) e la sua mission sarà produrre dispositivi destinati a rimpiazzare nell’era dell’AI ciò che l’iPhone ha rappresentato per miliardi di consumatori nell’era degli smartphone. Del primo prodotto marchiato OpenAI non si sa nulla, se non che non avrà lo schermo. Lo chiameremo per comodità The Thing, La Cosa.
Partiamo dal search
Man mano che ci siamo abituati a conversare con l’AI, le nostre ricerche online hanno iniziato a spostarsi da Google (che per anni ha fornito come risposta serie infinite di link) ai chatbot come ChatGPT e Perplexity che danno ampie spiegazioni ragionate, link a informazioni, prodotti e servizi e ora pure metodi di pagamento per comprarli.
Molto preoccupata dall’erosione del suo core business, Google ha reagito sulle prime con AI Overviews, quelle sintesi generate dall'AI che da qualche mese appaiono sopra i risultati di ricerca; sono note per avere suggerito di mettere la colla sulla pizza e per avere spinto molto ma molto sotto i link azzurri.
Il passo successivo si chiama AI Mode, e Google lo ha annunciato agli I/O: una funzionalità di ricerca che permette di porre più domande e fare ricerche più complesse, esattamente come già avviene con i chatbot più evoluti che attraverso propri agenti (tipo deep search) scandagliano il web per noi, comparano prodotti, etc etc. Niente di nuovo, quindi, e niente che la stessa app di Gemini (il chatbot di Google) non possa già fare. La novità è che queste funzionalità ce lo ritroveremo esattamente nel posto da dove da 25 anni facciamo le nostre ricerche sul web.
Basterà tutto questo a farci mantenere la nostra abitudine di usare Google per cercare? (e indirettamente salvare Google dalla carica dei chatbot)
Rispetto a ChatGPT, che per ogni nuovo utente parte da zero, Google ha un enorme vantaggio: sin dalla prima query, la sua AI può accedere ad una sterminata quantità di informazioni su miliardi di utenti (devono permetterglielo, ovviamente) che da anni usano le nmila Google app (e quindi: cronologia sul Search, dati di navigazione su Chrome, messaggi di Gmail, file su Drive, video su YouTube, foto su Foto etc etc).
D’altra parte, molti già si chiedono come la visione AI-centrica del CEO Sundar Pichai, riuscirà a garantire a Google i suoi stratosferici volumi di ricavi pubblicitari (sono la parte del leone: solo nel primo trimestre di quest’anno 67 miliardi). Nello scenario AI Mode che raccontavamo sopra, infatti, le pagine degli inserzionisti non verranno più fisicamente “viste” da miliardi di eyeballs umani, ma scansite dai chip di un numero sicuramente più ridotto di agenti virtuali; mentre l’occhio umano, abituato a scrollare link all’infinito, ora avrà a disposizione una interfaccia tipo chatbot, nella quale al momento nessuno ha ancora capito dove e come piazzare la pubblicità contestuale. Insomma, tutto ancora abbastanza da capire.
Mentre Google alla fine si limita a piazzare l’AI nei suoi servizi senza sapere ancora se ne avremo davvero bisogno, OpenAI non solo cresce a gran velocità nel search (che Altman ha derubricato a modo con cui i boomer usano l’AI) ma continua a creare nuovi prodotti e servizi e ad accumulare iscritti (dovremmo essere a 1 miliardo/settimana). E ora arriva pure La Cosa, che qualunque Cosa sia, probabilmente non riguarderà solo la gara con Google o Apple ma anche le nostre abitudini digitali.
La Cosa
I toni epici usati da Sam e Jony per presentare io più che un lancio commerciale ricordano l’annuncio di una missione critica, in questo caso destinata a ridefinire il futuro ruolo della tecnologia nell'interazione humans-AI. Il look and feel dell’intera operazione richiama invece un invito a una festina di battesimo (una per tutte la foto in b/n della coppia abbracciata e felice che dice "Sam & Jony presentano io").
Ive, che assumerà il controllo del design per tutti i prodotti OpenAI, nel video patinato postato sul blog di OpenaAI sembra un buono ma in realtà non fa prigionieri: "I prodotti che stiamo usando per collegarci a tecnologie inimmaginabili hanno decenni di vita, ed è semplicemente buon senso pensare che ci sia qualcosa oltre questi legacy products." La gomitata di Jony alla Apple di Tim Cook ed ai legacy products che lui stesso molti anni fa ha contribuito a realizzare, iPhone in primis, è evidente, così come l’investitura di OpenAI a guidare la prossima rivoluzione dei device.
Di Ive, Sam dice: "Nessuno può farlo come Jony: unire tecnologia, design e comprensione umana”. Ive il predestinato incassa il complimento: "Ho la sensazione che tutto quello che ho imparato mi abbia portato a questo momento."
Cosa sarà La Cosa?
Dopo l’uscita del video, sulla Cosa si sono scatenate illazioni e indiscrezioni. Mettendo insieme i vari pezzi, il primo dispositivo OpenAI disegnato da Ive potrebbe:
avere dimensioni tascabili e un design compatto ed elegante simile a un iPod Shuffle
essere completamente privo di schermo
avere fotocamere e microfoni integrati per il rilevamento ambientale.
essere dotato di una clip e/o di un laccio per il collo per averlo sempre con sé
fungere da "terzo dispositivo " oltre a PC e smartphone, per sfruttare le loro capacità di calcolo e di visualizzazione
essere lanciato nel 2026
Della Cosa Altman ha detto con modestia: "Jony mi ha dato uno dei prototipi da portare a casa, e penso che sia il pezzo di tecnologia più bello che il mondo abbia mai visto."
Ive ha aggiunto: "Sono assolutamente certo che siamo sull'orlo di una nuova generazione di tecnologia che può renderci versioni migliori di noi stessi."
Sam prevede di "consegnarne 100 milioni di pezzi, più velocemente di quanto qualsiasi azienda abbia mai fatto” (tra l’altro dove lo producono? E con i dazi come faranno?). E i piani parlano già di una "famiglia di dispositivi" che potrebbero ridefinire l'interazione umano-computer e portare il valore di OpenAI a un trilione di dollari.
Sarà tutto vero?
Diciamo subito che Altman è indiscutibilmente un genio come non se ne vedevano dai tempi di Steve Jobs, uno che sa sempre quello che fa e che fin qui non ne ha sbagliate molte (il cazzotto più grosso lo ha preso da DeepSeek, ma non è colpa sua).
D’altra parte, la Storia recente è piena di dispositivi rivoluzionari che non hanno rivoluzionato nulla. Ancora una volta nei passaggi stretti cerco conforto nella lucidità di Martin Peers (The Information) che alla Cosa ha dedicato i suoi pungenti Briefing di ieri e oggi. Riassumo liberamente:
Sam Altman sembra voler stabilire un nuovo record mondiale per la creazione di un'azienda tecnologica verticalmente integrata nel minor tempo possibile. L’acquisizione da parte di OpenAI di io per 6,5 miliardi di dollari è sorprendente sotto diversi aspetti. Il più importante è che Altman ha ora assemblato un'impresa coinvolta in ogni fase dello stack AI: dallo sviluppo dei modelli, ai chip specializzati, ai data center che li fanno funzionare, dalle applicazioni come gli agenti AI ai dispositivi hardware progettati specificamente per l'intelligenza artificiale.
Altman si sta muovendo così velocemente perché deve confrontarsi con giganti tecnologici ben finanziati e posizionati per fare lo stesso: Google, Microsoft e Amazon hanno le capacità hardware per competere su tutti questi fronti. Meta ha preso l’iniziativa con i suoi occhiali intelligenti Ray-Ban potenziati dall'AI. L'unica grande azienda tecnologica meno ben posizionata paradossalmente è Apple, e l'alleanza di Ive con OpenAI getterà sale su una ferita aperta a Cupertino, soprattutto dopo che i passi falsi nell’integrazione dell’AI nei suoi prodotti sono stati raccontati al mondo.
Il vero tema è che gli argomenti sulla nostra necessità di dispositivi specifici per l'AI per ora non reggono. Puoi già parlare con ChatGPT e qualsiasi altra chatbot app installata sul tuo smartphone e fargli domande. Parlando di hardware, lo puoi fare con Pixel, il telefono di Google o con gli smart glasses Ray-Ban di Meta. Qualunque cosa stia pensando OpenAI, come può essere più semplice dell'usare un dispositivo che già portiamo sempre con noi? Altman ovviamente sa tutto questo, ma d’altra parte non vuole dipendere dai produttori di smartphone per la distribuzione delle sue app e per controllare il proprio destino decide di sviluppare il proprio hardware. I consumatori però potrebbero avere altre idee al riguardo.
Oltre alla difficoltà di persuadere le persone che hanno bisogno di un altro dispositivo, c'è il fattore tempo: Altman spera di consegnare il primo nuovo dispositivo AI entro la fine del prossimo anno. Ma diciotto mesi sono un tempo molto lungo nel mondo dell'AI. La Silicon Valley venera Ive come un eroe, ma se il suo genio per il design sia altrettanto rilevante per l'era dell'AI quanto lo è stato per gli smartphone è una domanda da almeno 6,5 miliardi di dollari.
Avremo modo di riparlarne. E’ tutto per oggi, ci sentiamo martedì!
Matteo M
PS Tornando agli infiniti intrecci tra mente umana e artificiale di cui si siamo occupati nell’ultimo post, pare che stia arrivando sugli scaffali CL1 il primo computer che combina neuroni umani e chip. Costa 35.000 dollari ma va consumato entro 6 mesi!
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