Il momento che più temevamo potrebbe essere arrivato
Dopo 2 anni di previsioni nefaste sugli effetti dell'AI sull'occupazione, in US i neolaureati non trovano lavoro. Tra studi fumosi e balle dei CEO è il primo segnale reale. Ahia.
Hello human,
rieccomi da voi. Da questo numero [humans/AI] entra in modalità estiva, con frequenza settimanale e uscita il giovedì. Se avete letto titolo e sommario, sapete già che il numero di oggi sarà bello tosto, quindi allacciate le cinture. Io sono Matteo Montan e se volete saperne di più su di me e su questo progetto editoriale, trovate tutto nelle Info. E ora, andiamo!
Qualche tempo fa in un’intervista Sam Altman ha raccontato di aver lanciato una simpatica scommessa nella chat di gruppo con i “suoi amici CEO della Silicon Valley ”: chi indovina quando arriverà il primo unipersonal unicorn, cioè la prima azienda formata da 1 persona capace di fatturare 1 miliardo di dollari? Era il gennaio 2024.
Un anno e mezzo dopo, non essendosi ancora avverata la profezia, uno scrupoloso startupper californiano, Henry Shi, ha creato una leaderbord online per capire quanto fossimo vicini alla 1-person-1-billion-dollar-company. Siamo ancora belli lontani fortunatamente (potete spulciare qui la classifica online), ma l’immagine della gara un po’ perversa tra Altman e i suoi amici CEO a chi azzecca per prima l’unicorno personale descrive direi magnificamente uno dei grandi paradossi dell’AI: continuare ad investire decine di miliardi in una tecnologia che ci può virtualmente sostituire nella produzione di ricchezza, cosa che è stata certamente vera per tutte le precedenti rivoluzioni industriali, ma senza mai la prospettiva di sostituirci tutti.
Tra scommesse e paradossi, atterriamo così sul tema di oggi, l’impatto dell’AI sull’occupazione - da cui in questi primi mesi di vita di [humans/AI] sono stato ben lontano per varie ragioni: vuoi perché è stato l’argomento che nei primi 2 anni dell’Era Post ChatGPT ha monopolizzato il dibattito sull’intelligenza artificiale (almeno in Italia); vuoi perché è una roba molto ansiogena e noiosa insieme; vuoi perché la questione, come leggerete, continua a essere poco chiara.
Due anni di previsioni nefaste
In questi 2 anni siamo stati bombardati da previsioni nefaste che però sembravano non avverarsi mai. La regina delle banche di investimento Goldman Sachs due anni fa aveva previsto che l’AI tra Stati Uniti ed Europa avrebbe messo a rischio l’equivalente di 300 milioni di full time jobs, un quarto della forza lavoro. Alla fine dell’anno scorso però la società di outplacement Challenger Gray ha riportato che in US i posti di lavoro tagliati a causa dell’AI erano stati 17,000, che se non sbaglio sono lo 0,006% di 300 milioni.
Quindi, stiamo sereni?
Non molto in realtà, perché nelle ultime settimane sono arrivati una serie di segnali più tangibili che l’AI ha iniziato a colpire dove io - confesso - non me lo sarei aspettato: i nuovi assunti.
La prima a lanciare l’allarme, intorno al 20 aprile, è stata la Federal Reserve di New York, che ha denunciato come le condizioni lavorative per i neolaureati si fossero "deteriorate notevolmente" negli ultimi mesi, con un tasso di disoccupazione insolitamente salito al 5,8%. A spiegarlo bene, un articolo di The Atlantic, intitolato Something Alarming Is Happening to the Job Market: A new sign that AI is competing with college grad. Nel pezzo si racconta di come i neolaureati in MBA delle università d'élite stiano lottando per trovare lavoro, mentre le domande di iscrizione alle scuole professionali aumentano.
"Sta emergendo che le attività che l’AI può sostituire - scrive The Atlantic - sono quelle che normalmente svolgono i giovani laureati nelle aziende del terziario: leggere e sintetizzare dati e informazioni, produrre rapporti e presentazioni. Così, va a finire che gli studi di avvocati delegano all'AI l’attività paralegale, le società di consulenza affidano a cinque 22enni dotati di ChatGPT il lavoro che prima avrebbero svolto 20 top neolaureati, e le aziende tecnologiche per programmare si fanno bastare una manciata di superstar che coordinano una serie di agenti AI”.
“Sono un manager di LinkedIn. E vi dico che il gradino più basso della scala professionale si sta sgretolando”.
Un mese dopo, l’ipotesi della Federal Reserve viene confermata da un osservatore particolarmente credibile, il Chief Economic Opportunity Officer di LinkedIn, la piattaforma #1 per il mercato dei cosiddetti knowledge workers.
Aneesh Raman sul New York Times pubblica un lungo intervento carico di preoccupazione (a cominciare dal titolo che vi ho piazzato sopra, all’inizio del paragrafo). Secondo lui, ci sono forti segnali che l'intelligenza artificiale sia già ora una minaccia reale per un numero significativo di professioni che normalmente servivano come primo passo per ogni nuova generazione di giovani lavoratori. E questa tendenza è stata confermata da un recente sondaggio condotto dalla stessa LinkedIn su oltre 3.000 dirigenti di livello superiore: il 63% concorda sul fatto che l'AI alla fine assumerà i compiti più banali attualmente allocati ai dipendenti entry-level.
Il primo a rompersi, dice Raman, è stato così il gradino più basso della scala professionale. Per fare un esempio, nel settore tecnologico (finora il più colpito) gli strumenti di coding avanzato si sono insinuati esattamente tra i compiti di scrittura di codice semplice e debugging, cioè le attività con cui gli sviluppatori junior acquisiscono esperienza. E dopo il settore tecnologico, l'erosione si manifesterà in settori come finanza, viaggi, alimentare e servizi professionali. A preoccupare poi è anche il potenziale ampliamento della disuguaglianza sociale nel mercato del lavoro, perché se i ruoli entry-level evaporano, coloro che mancano di reti d'élite o background privilegiati affronteranno barriere ancora più ripide.
Per risolvere il lavoro entry-level, il manager di Linkedin sostiene che dovrebbe essere reimmaginato completamente. Come?
Prima di tutto, assicurandosi che durante il ciclo educativo i futuri lavoratori imparino le competenze che le aziende stanno iniziando a richiedere. Per questo, spiega, numerosi college e università americane stanno incorporando l'AI nei programmi di studio.
I datori di lavoro, per parte loro, devono riprogettare il sistema di responsabilità: nella società di revisione e consulenza KPMG, racconta Raman, i neolaureati già ora grazie agli strumenti di AI gestiscono incarichi che prima erano riservati a colleghi con 3 o più anni di esperienza. E nella law firm MacFarlanes, gli avvocati all'inizio della carriera sono ora incaricati ora di interpretare contratti complessi che una volta spettavano ai loro colleghi più esperti.
La paura del tipping point
Leggendo queste analisi, il timore crescente è di trovarci esattamente nella fase di calma prima della tempesta, e che il paradosso che abbiamo fin qui vissuto di questa rivoluzione del lavoro largamente annunciata ma che finora non si è verificata possa essere risolto dalla famosa teoria del tipping point descritta da Malcolm Gladwell: il punto di svolta che si verifica quando una tendenza, dopo avere raggiunto lentamente la massa critica, accelera drammaticamente.
I numeri dell’ultimo report sul futuro del lavoro del World Economic Forum, per quello che può ancora valere il carrozzone di Davos nell’era dell’AI, sembrano confermare i timori: nei prossimi anni, tecnologia e AI dovrebbero creare 11 milioni di posti di lavoro, ma eliminarne contemporaneamente 9.
I segnali delle aziende sono un rebus
Studi, sondaggi, teorie da una parte, disoccupazione e prime evidenze dall’altra. Difficile dire se siamo davvero in prossimità del tipping point o se si tratta solo di un rigurgito di catastrofismo sociale. Decrittare i segnali che arrivano dall’industry, è una impresa, e potete farvi voi stessi un’idea leggendo questa carrellata di interventi:
Klarna mette la retro: basta tagli per l'AI, ricominciamo ad assumere umani
Microsoft licenzia 6.000 persone, il 3% della sua forza lavoro
Il CEO di Microsoft una settimana dopo: nell’era dell’AI servono umani più che mai
Amodei, il papà di Claude: in 5 anni colletti bianchi dimezzati, un bagno di sangue
E’ tutto per oggi, e ci mancherebbe pure, vi avevo avvertito che il tema era ansiogeno! Ma come avrete capito non potevo ritardare oltre. Vi lascio con una nota di ottimismo che ha scritto questa settimana Ben Thompson, autore di Stratechery, una delle più note e popolari newsletter tech al mondo:
Mentre ci si affanna a costruire casi d'uso aziendali che prevedono la sostituzione completa dei lavoratori con l’AI, quello che a me davvero entusiasma è che ho scoperto che esiste un caso d'uso nel mezzo: la collaborazione tra umano e AI
Viva la collaboration (ci ho fatto pure l’immagine di copertina) e ci sentiamo prossima settimana!
Matteo M.
PS Se vuoi altre newsletter come questa, dai un’occhiata a Newsletterati
beh, gran tema e ben posto...poi, a proposito del tipping point, il tutto mi ricorda sinistramente il Covid (qui però colpirebbe i giovani)...detto che poi abbiamo trovato il vaccino.
È un argomento che mi interessa molto ultimamente. Quello che mi lascia perplesso è il discorso secondo cui "verranno creati 11 milioni di nuovi posti di lavoro, ma se ne perderanno 9". Per come la vedo io, osservando le piccole realtà che frequento, al momento assistiamo semplicemente alla scomparsa delle figure junior. In Italia, anche — e soprattutto — per il tipo di attività che si svolgono nella maggior parte delle micro-imprese (fatte salve le rare eccellenze che fanno innovazione), il saldo rischia di essere solo negativo.