L'ultima metamorfosi dell'AI
Come lab e big tech stanno riposizionando i modelli in prodotti consumer
Hello humans,
scrivere di AI mentre il mondo trema sotto i dazi di Trump mi fa sentire in una bolla che un po’ mi mette a disagio. Potrei scappare e rifugiarmi in un post sulle connessioni tra le due intelligenze. Invece preferisco una strada diversa: dare un contesto economico alla newsletter di oggi e parlare delle Big Tech, che per altro con le tasse che non pagano in Europa sono il target più facile da colpire nella auspicabile controffensiva europea alla neo-follia di Washington. Io sono Matteo Montan e questa è [humans/AI] e se volete saperne di più sulla newsletter e su di me trovate tutto nelle Info. E ora, andiamo!
Il flusso incessante di news mainstream, dove l’intelligenza artificiale viene citata un articolo ogni tre , è la rappresentazione plastica (oddio l’ho detto) di come l’AI da utopia tecno-culturale realizzata si stia riposizionando in industria commerciale che sforna prodottini fighi capaci di ghiblizzare il mondo.
Grazie ai vari effetti a catena della bomba cinese di DeepSeek, i frontier LAB (a cominciare da OpenAI), hanno iniziato a capire 4 cose:
Fare modelli iper-intelligenti non fa più notizia a meno che non sei cinese: ne sa qualcosa Google che con il suo nuovissimo Gemini 2.5 in un silenzio sconfortante ha fatto secchi nei principali benchmark Claude Sonnet 3.7, GPT-4.5 e compagnia (ne hanno parlato solo i siti di geeks incistati).
Pensare di campare soltanto attaccando alle proprie API le aziende per creare processi e servizi AI-powered (approccio B2B) al momento non ripaga degli enormi investimenti, perché: 1) le aziende ancora nicchiano e 2) i modelli cinesi low cost, high intelligence e open source (quindi installabili nel cloud dietro casa non controllato da Xi Jinping) hanno stravolto i prezzi di mercato.
Occorre sviluppare un business model complementare al B2B, cioè il B2C, che è un mestiere specularmente opposto rispetto a fare modelli, e che costringe tutti ora a mostrare il loro lato più sexy, che quello della Consumer Tech Company.
Sicuramente in background sarà necessario proseguire la corsa a creare modelli sempre più intelligenti ma in questo momento la priorità è trasformarli in prodotti che vendono.
LE METAMORFOSI
Di quella di OpenAI abbiamo lungamente parlato ieri (non so per voi, ma per me è come se un’entità superiore come Dart Fener si trasformasse in Snapchat). Vediamo cosa succede nelle altre BigTech/BigLabs.
Dappertutto stanno saltando le prime linee
Fuori i tech-guru della prima ora, dentro gli esperti di product marketing. Era successo ad Apple (ne ho parlato qui) e ad OpenAI, dove Altman si è messo personalmente sul prodotto , e ora arivano gli altri.
Google sostituisce la leader delle app AI e sposta il focus dai modelli ai prodotti costruiti intorno ad essi: al posto di Sissie Hsiao, che guidava lo sviluppo del chatbot Gemini (precedentemente Bard), arriva Josh Woodward, capo di Google Labs e NotebookLM, che ora ha il compito di plasmare il prossimo capitolo di Gemini. E a Meta la capa dell’AI lascia improvvisamente e dice: “E’ tempo di fare spazio ad altri”.
Il doppio posizionamento della Google AI prende sempre più forma (R&D vs. B2C)
Dalla parte consumer ci sarà solo Gemini, che sarà di fatto la prossima Google, dal search a tutto il resto. Dalla parte R&D ci sarà DeepMind (il Lab guidato dal premio Nobel Demis Hassabis che Google aveva acquistato nel 2010 per poi fonderlo a Google Brain e trasformarlo infine in Google DeepMind) che continuerà a fare studi ma senza parlarne più tanto in giro, come ha svelato in un bell’articolo ArsTechnica, per evitare fughe di notizie nocive a Gemini (non è un caso che l’ultimo essay di DeepMind, rilasciato ieri dedica la bellezza di 145 pagine a discettare di AGI e sicurezza, tema super-affascinante ma molto teorico e soprattutto oggi poco di moda). Il vero lavoro di DeepMind sarà fare ricerca su robotica, medicina e scienze applicate (vedi per esempio questo ultimo investimento in campo farmaceutico) e ogni altra nuova area ad alto potenziale trasformativo di cui Google ha un dannato bisogno ora che il suo modello di business costruito sulla ricerca online è stato stravolto dall’AI.
Meta infila l’AI in tutti i suoi prodotti consumer. Fastidiosamente
Si sta muovendo invece come un elefante Meta che finora, almeno in Europa, operava dietro le quinte senza prodotti consumer e fornendo a terzi i suoi modelli LLama. Non so se avete notato, ma da due giorni si parla della sua AI comparsa a tradimento su da Whatsapp e compagnia solo per capire come toglierla (anche in Italia proliferano gli articoli “how to” per provare ad eliminarla, ma pare sia impossibile) . A dimostrazione del fatto che fare bene prodotto consumer è una cosa complicata anche per chi il B2C lo fa da sempre, e che per replicare il proprio successo non basta integrare l’AI in applicazioni universali come Instagram e Whatsapp, Word o Excel (non so voi, ma io quando scrivo o faccio tabelle scanso Copilot come una mosca: appena lo vedo faccio alt+tab e corro felice sulle mie AI preferite).
Amazon addirittura cerca di comparsi TikTok e fa un agente che crea mostri
Neanche Amazon, che sul B2C può insegnare al mondo, quando entra sul terreno dell’AI ci riesce al primo colpo. L’altro giorno, oltre al suo primo agente (pensato per comprare, ovviamente), ha rilasciato in test anche il suo modello / app per creare immagini e video detto Nova. La prova su strada di Reed Albergotti, editor di Semafor Technology, è impietosa: “Per arrivare così tardi nella competizione, mi aspettavo risultati eccezionali. Ma non è questo il caso. Circa la metà delle volte, gli strumenti di generazione di immagini e video di Amazon hanno prodotto volti, braccia e mani distorti, parti del corpo che attraversano altre parti. Ma perché? Rilasciare strumenti così indietro rispetto agli standard dei rivali danneggia solo l’Amazon brand.” Sarà forse per restare in gara nel mercato consumer che Jeff Bezos ha fatto una offerta last minute per compare TiKTok? (La deadline per decidere le sorti dell’app cinese è dopodomani).
In tutto questo, pare che l’AI si stia mangiando i social (ma magari, ndr)
Lo sostiene Axios in un articolo piuttosto elaborato e Musk-centrico (a proposito, pare ormai certo che la carriera politica di Elon stia volgendo al termine, per vari motivi che trovate su questo pezzo di Politico) e che provo a riformulare in 6 punti:
Con l'avanzare dell'AI i social media diventano sempre meno importanti come business e sempre più trattati come una risorsa di dati sfruttabile per costruire l'intelligenza artificiale.
Nonostante questi business siano ancora enormi e in molti casi redditizi, non crescono e non innovano più al ritmo che Silicon Valley e Wall Street richiedono.
L'accordo interno di Elon Musk per far acquisire X dalla sua azienda di AI xAI rappresenta solo l’ultimo segnale di come il business dell'intelligenza artificiale stia divorando quello dei social media.
L'intero ecosistema dei social media - inclusi X, Facebook e Instagram di Meta, YouTube di Google, e persino il più giovane TikTok - è diventato una piattaforma legacy (ndr: in italiano non ho mai trovato un termine che esprime altrettanto bene una tecnologia ancora esistente ma superata)
Musk sta sfruttando le valutazioni stratosferiche dell'AI per risollevare i ricavi stagnanti e la struttura finanziaria appesantita dal debito di X. Meta e Google hanno enormi flussi di ricavi dai social media e dalla ricerca, ma entrambi si affidano al fascino dell'AI per raccontare una storia di crescita e mascherare la stagnazione nei loro business principali.
Non sono più i dollari a fluire tra social e AI ma i dati: i modelli di xAI utilizzano già l'intero corpus di post degli utenti X come dati di addestramento; Meta fa lo stesso con i post dei suoi abbonati, Google e YouTube appaiono meno aggressivi, ma applicano comunque i dati degli utenti per costruire varie funzionalità basate sull'AI.
Per tutti questi motivi, credo che la gara di OpenAI come consumer product company non sia persa in partenza, anzi.
E’ veramente tutto per oggi, a domani!
Matteo M.