L'AI ci rende stupidi? No, diversi
Analisi commentata di un recente studio che valuta gli effetti dell'uso quotidiano dell'intelligenza artificiale generativa sulle nostre capacità di esercitare il pensiero critico
Hello humans,
io sono Matteo Montan e questo è [humans/ai] Lunch break. Come sempre, se volete saperne di più su questa newsletter e su di me date un’occhiata qui ). E ora, andiamo!
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L’altro giorno vi ho parlato di uno studio che raccontava come noi umani usiamo l’AI. Oggi, come direbbe Sinner, proviamo ad alzare il livello di gioco e ci addentriamo in una delle questioni che mi hanno spinto a creare questa newsletter, ovvero gli effetti sul nostro cervello dati dalla prossimità con questa nuova forma di intelligenza.
Lo spunto me lo dà un altro studio super interessante che è stato prodotto da un gruppo di ricercatori di Microsoft in collaborazione con la Carnegie Mellon University di Pittsburgh. Ad intercettarlo per prima è stata qualche giorno fa TechCrunch (attendevo il momento giusto per parlarvene ed è arrivato), con un titolo furbetto - Is AI making us dumb? - ma che alla fine va al punto.
Lo studio originale (che trovate qui) si intitola The Impact of Generative AI on Critical Thinking: Self-Reported Reductions in Cognitive Effort and Confidence Effects From a Survey of Knowledge Workers (le maiuscole abbondano negli studi scientifici e noi le manteniamo contro ogni regola di buon giornalismo, perché secondo me anche questi dettagli ci dicono qualcosa su chi fa una ricerca, perché la fa, e che cosa vuole comunicare) e affronta una questione molto spinosa, cioè se e come l’uso della GenAI (Generative AI) impatta sull’esercizio del pensiero critico nei lavoratori della conoscenza.
Visto che [humans/AI] svolge anche una missione pedagogica (come avrete capito quando scrivo mi esce una forte vena autoironica) che per altro mi è stata sollecitata anche da alcune volonterose lettrici, partiamo dalle definizioni.
Critical Thinking o Pensiero critico: concetto molto suggestivo e molto usato a casaccio, non ha in letteratura una definizione univoca. Per coerenza metodologica (sic!) userò quella adottata dagli stessi autori dello studio e sviluppata dallo psicologo Benjamin Samuel Bloom: “Una classificazione gerarchica che suddivide gli obiettivi di apprendimento in sei categorie: conoscenza (richiamo di concetti), comprensione (dimostrazione della comprensione dei concetti), applicazione (messa in pratica dei concetti), analisi (confronto e relazione tra concetti), sintesi (combinazione di concetti) e valutazione (giudizio sui concetti in base a criteri).
Knowledge Workers o Lavoratori della conoscenza: lo studio non ne fornisce una definizione esplicita, ma il contesto suggerisce che si tratti dei lavoratori che utilizzano principalmente la conoscenza e le capacità cognitive nel loro lavoro. In due parole, direi gente che fa un lavoro intellettuale.
Ora che ci siamo intesi sul glossario, veniamo allo studio vero e proprio. Prima di tutto il metodo: sono stati intervistati 319 “lavoratori della conoscenza” che al lavoro usano strumenti di GenAI come ChatGPT almeno una volta alla settimana e che hanno fornito ai ricercatori 936 esempi reali di utilizzo dei chatbot. Sulla base di questi dati (non un’enormità, il che è sicuramente uno dei limiti dello studio, insieme al fatto che si tratta di un sondaggio, come tale influenzato dall’autoanalisi degli intervistati) i ricercatori hanno creato un modello che prova a descrivere: 1) come i lavoratori attivano il pensiero critico quando usano strumenti GenAI; 2) come la GenAI influenza il loro sforzo percepito nel pensare criticamente. Le principali conclusioni dello studio sono queste:
Da un punto di vista qualitativo, una maggiore fiducia nella GenAI è associata a un minor pensiero critico, mentre una maggiore fiducia in se stessi è associata a un maggior pensiero critico. Può sembrare una marzullata ma secondo me non la è.
L’uso intensivo della GenAI nel lavoro intellettuale porta a un trasferimento cognitivo, ovvero una riduzione dell’impegno intellettuale in cambio di maggiore efficienza.
Quando si utilizzano strumenti GenAI, lo sforzo investito nel pensiero critico si sposta dalla raccolta di informazioni alla verifica delle informazioni; dalla risoluzione dei problemi all'integrazione delle risposte dell'AI; dall'esecuzione del compito alla gestione del compito. I lavoratori si impegnano nel pensiero critico principalmente per garantire la qualità del loro lavoro, ad esempio verificando gli output con fonti esterne.
Se la GenAI da una parte può migliorare l'efficienza del lavoratore, dall’altra però può inibire il coinvolgimento critico e potenzialmente portare a una eccessiva dipendenza a lungo termine dalla GenAI e ad una diminuzione della capacità di risoluzione indipendente dei problemi.
L’uso delle AI generative, infine, tende ad appiattire la creatività e a standardizzare i processi di problem-solving, limitando la diversità delle soluzioni.
In sintesi, lo studio di Microsoft (che, ricordiamo, produce Copilot ed è il maggiore azionista di OpenAI), pur con un certo tatto evidenzia il rischio di una perdita di autonomia cognitiva a causa della GenAI e suggerisce una progettazione degli strumenti tale da supportare il pensiero critico. Un nuovo tipo di pensiero critico - mi viene da aggiungere - che restando alla categorizzazione di Bloom si concentrerà sempre di più sulle ultime 3 fasi del processo intellettuale: confronto e relazione tra concetti, combinazione di concetti, giudizio in base a criteri.
Insomma, cari humans, come vedete, oggi c’è un sacco di food for thoughts per tutti: studenti, lavoratori, genitori, educatori, formatori, aziende e shrink! (che in inglese suona più educato). Per oggi chiudiamo qui (e ci mancherebbe), a domani!
Matteo M.
PS per i cultori di Elon: lanciato il suo nuovo modello di punta Grok 3. Lui garantisce che “è un’AI 10 volte meglio della precedente e che cerca la verità al massimo, anche se a volte questa verità è in contrasto con quello che è politicamente corretto”. Ma và.
AI e pensiero critico: servono nuove “palestre della mente”?
Caro Matteo,
ho letto con grande interesse il tuo approfondimento sugli effetti della GenAI sul pensiero critico. Concordo sul fatto che il modo in cui interagiamo con l’AI definirà il futuro della conoscenza e dell’autonomia intellettuale.
A tal proposito, anche se con il rischio di eccessiva semplificazione, si potrebbero categorizzare gli humans impattati dall’AI in tre categorie, a seconda del loro livello di pensiero critico e del modo in cui integrano l’AI nei loro processi cognitivi:
1️⃣ Critical humAIns – Usano l’AI come un potenziatore delle proprie capacità, ma senza rinunciare all’autonomia cognitiva. Contestualizzano, verificano, integrano e creano valore aggiunto, sviluppando un’intelligenza aumentata anziché automatizzata. Dovrebbero essere il focus delle nuove politiche educative, perché rappresentano il modello ideale per un futuro in cui l’AI sarà onnipresente.
2️⃣ Adaptive humAIns – La maggioranza delle persone rientra in questa categoria. Utilizzano l’AI in modo funzionale, come supporto operativo e strumento di apprendimento, ma senza sviluppare un controllo critico costante. Possono evolvere verso i Critical humAIns, ma senza una formazione adeguata rischiano di scivolare nella terza categoria.
3️⃣ Complacent humAIns – Coloro che delegano completamente il pensiero all’AI, accettando risposte e soluzioni senza metterle in discussione. Prioritizzano efficienza e velocità rispetto alla comprensione e alla verifica, diventando progressivamente più dipendenti dall’AI e meno autonomi nel problem-solving.
Se la rivoluzione industriale e le trasformazioni economiche successive hanno progressivamente ridotto la necessità di sforzi fisici nel lavoro quotidiano, favorendo uno stile di vita più sedentario e portando alla diffusione delle palestre per compensare questa tendenza, la rivoluzione dell’AI rischia di alleggerire il nostro carico cognitivo al punto da indebolire il pensiero critico. Forse, per contrastare questa deriva, sara’ utile creare delle “palestre della mente”? Ovvero ambienti e metodi pensati per allenare attivamente l’analisi, il ragionamento critico e l’autonomia intellettuale, evitando di diventare troppo dipendenti dall’AI.
A mio avviso, se la GenAI può portare a una riduzione dello sforzo critico, serve un cambio di paradigma nell’educazione e nella formazione, per allenare il pensiero critico come una competenza chiave nell’era AI.
Che ne pensi?
A presto!
Pietro
dopo ogni discontinuità gli humans hanno trovato una strada per migliorare e vivere meglio: dalla scoperta del fuoco e della ruota, dell'automobile e del volo...dal pc al cellulare...anche l'energia atomica (la sparo grossa)